MargheritaLaSaggia
2003-12-29 00:00:00
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Rammentavo come era incominciato. Colui che mi sbatteva era il migliore amico di mio marito e ora lo avevo dentro di me, in fondo, in fondo, sempre più dentro, presa in una trappola più grande di me ma cercata, desiderata, voluta. Ero libera con Andrea, libera di essere anche quella, una porca scatenata, una bisex portata a galla da lui e da sua moglie Morena, una delle mie migliori amiche, quella che in apparenza appare la più castigata, ma che, ora, godeva pazzamente della mia lingua assatanata mentre il marito mi sfondava tutta con colpi di maglio divino. Morena, la piccole e delicata Morena, la Maddalena non pentita, mio inferno privato, la mia gioia suprema, per lei e solo per lei mi annullavo ogni volta che voleva mentre il marito faceva di me carne pestata a dovere. Sono anche passiva a volte, amo che mi si faccia male moralmente e fisicamente e da loro avevo il dolore, la passione, il comando, la lussuria di dare, dare, oltre me stessa. Morena dai lunghi capelli neri, neri, che letteralmente grondavano sudore e il suo bosco nero tra le gambe, bosco incantato che mi attraeva più del dolore. Piccola ma estremamente elastica ad ingoiare tutto ciò che portava ai suoi meravigliosi orgasmi di testa e di corpo. Sadica quel tanto da soddisfarmi sempre senza mai lasciarmi segni che non sparissero in una giornata ma sapeva torturarmi con un bastoncino di rosa appuntito sui capezzoli, era una tortura lunga, con scosse elettriche su tutto il corpo. Aveva quattro sciarpe di seta e quando le vedevo sul letto tremavo, sapevo cosa voleva. Mi voleva legata, anima e corpo e, indossava mutandine con fallo e mi torturava sul seno, in ogni anfratto ed ero sua, anima e corpo.
Macerato di scopate senza alcuna difesa o pietà per i miei godimenti oltre il normale, con la sua piccola mano dentro a cercarmi in ogni piega interna a mettere a nudo ogni pudore. Ero stata testimone alle loro nozze, Morena l'avevo vista nuda già tre o quattro volte al mare e in piscina, un corpo da bambina quattordicenne eterna, una giapponesina di Cuneo dall'animo bizzarro e gaudente. Avevamo anche scherzato pizzicandoci i capezzoli e ridendo come delle matte, io, con il mio seno prosperoso e sodo, le grandi areole e il capezzolo sensibilissimo, lei con le sue tettine da cerbiatta ma ugualmente sensibili con due capezzoli enormi, quasi dei piccoli ciucci dove appendeva la mia sessualità. Quegli scherzi erano falsamente innocenti, lo scopersi dopo, ognuna delle due era sessualmente portata verso l'altra, lei più di me, lo scoperse prima. Ma solo verso l'altra anche se altre donne entrarono nella nostra vita, non era mai come con Morena. L'avrei consumata di baci e lei consumato me, non vi era cazzo a dividerci, volevamo anche quello ma in primis volevamo noi. Le nostre parti intime diventavano meta, oggetto di mille altri sentimenti e voglie che finiva li, li, sempre li in abbracci che sembravo stampi talmente eravamo una dentro l'altra, nell'una o nell'altra qualunque cazzo ci penetrasse altrove. Assorbiva la mia intera mano ben più grossa della sua e l'assorbiva ovunque. L'educazione, i tabù, non avevano lasciato che il desiderio venisse a galla compiuto subito, recepito solo come stimolo in un angolino del cervello, presente in noi ma subito mozzato dalla logica e dalla paura del diverso. Certo che il capezzolo reagiva, qualunque mano lo stimolasse, anche quella di una donna. Si buttava tutto alle spalle con una battuta. Non avevamo assimilato il fatto dell'attrazione fisica, lo avevamo obliterato quasi istantaneamente, anche se un traccia era rimasta in noi come seme fecondo. Morena era tornata dal viaggio di nozze serena, incinta e splendida, ero incinta anche io e vivemmo la gravidanza insieme, guardandoci crescere la pancia, accarezzandocela, a volte, nuda e dilatata cercando smagliature.
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